martedì 27 febbraio 2018

Una storia milanese (1962)

di Eriprando Visconti



Regia: Eriprando Visconti. Soggetto e Sceneggiatura: Renzo Rosso, Vittorio Sermonti, Eriprando Visconti. Fotografia: Lamberto Caimi. Montaggio: Mario Serandrei. Musiche: John Lewis. Paesi di Produzione: Italia / Francia. Casa di Produzione: 22 Dicembre di Ermanno Olmi. Durata: 80’. Genere: Sentimentale. Formato: 1.33 – Bianco e Nero – 35 mm. Interpreti: Daniéle Gaubert (Valeria), Enrico Thibault (Giampiero), Romolo Valli (padre di Giampiero), Lucilla Morlacchi (Francesca, sorella di Giampiero), Regina Bianchi (madre di Valeria), Rosanna Armani (Vicky), Anna Gael (amica di Valeria), Giancarlo Dettori (Dario), Ermanno Olmi (sig. Turchi).
Via San Marco a Milano

Un libro interessante e utile come Prandino – L’altro Visconti, scurato da Corrado Colombo (aiuto regista del Visconti meno noto) e da Mario Gerosa (esperto di cinema  a tutto tondo), edito in questi giorni da Edizioni Il Foglio, mi ha convinto a riscoprire la scarna filmografia del talentuoso regista milanese. Nove lungometraggi, in fondo, quasi tutti accomunati da un unico tema: dimostrare l’incomunicabilità tra uomo  e donna (sula scia di Antonioni) e la fragilità del rapporto sentimentale (seguendo Bergman). Eriprando Visconti (1932 - 1995) viene avvicinato dalla critica più attenta a registi come Alberto Cavallone e Cesare Canevari, per tematiche affrontate e modo di sperimentarle da un punto di vista cinematografico, esibendo anche il non mostrabile, per scelta professionale e onestà intellettuale. Eriprando Visconti, detto Prandino, sin dal primo film, pur rispettando le convenzioni cinematografiche dei primi anni Sessanta, cerca di andare oltre, mettendo in primo piano il personaggio di una donna libera, indipendente, insoddisfatta, che non si accontenta del matrimonio e di un figlio, ma che vuole essere interprete della sua vita. Valeria - che ha il volto della giovanissima quanto brava Gaubert - è una donna che lascia gli uomini, che decide la fine di un rapporto, che perde la verginità, aspetta un figlio e va ad abortire in Svizzera per non essere costretta a sposarsi, è una donna che non cerca il matrimonio come scopo di vita ma vuole essere libera da condizionamenti. Bravo anche Enrico Thibault  nel ruolo maschile da borghese innamorato, uomo del suo tempo che non comprende una donna così diversa da come dovrebbe essere secondo un ruolo assegnato dalla tradizione. I due attori principali sono giovani e alle prime esperienze ma vengono guidati con mano ferma da un regista che pretende molto da loro, soprattutto una recitazione teatrale ricca di dialoghi e di primi piani, molto impostata ma naturale, secondo regole che provengono dalla lezione neorealista.

Sequenza con Ermanno Olmi

Una storia milanese è un film originale, girato in maniera perfetta, fotografato in un nebbioso e languido bianco e nero dal bravo Caimi, impaginato da Serandrei tra piani sequenze e primissimi piani, intensi campi e controcampi, ricco di dialoghi verbosi e complessi, sempre ben impostati. Visconti espone la sua idea di cinema e dimostra di avere le idee chiare sin dalla prima opera, anche se la gigantesca ombra dello zio peserà non poco sulla produzione futura, relegandolo ai margini del sogno. Ermanno Olmi produce e interpreta un piccolo ruolo che prevede tre lunghe sequenze insieme all’attrice principale, quasi un viatico di un grande regista a un giovane autore che descrive con sapienza la Milano del boom, le contraddizioni di una famiglia borghese, il rapporto tra padre e figlio, l’affetto complice per la sorella e la frequentazione di amici della stessa classe sociale con i quali trascorre serate sempre uguali e va a caccia in palude. Colonna sonora straordinaria di John Lewis, che comprende brani di Enzo Jannacci e di musica popolare, per una pellicola che passa dal mito americano all’esaltazione della tecnica, polemizza con la cultura classica imperante, mostra il traffico di una Milano attiva e moderna, i navigli, la campagna fredda e nebbiosa. Alcune sequenze d’amore si spingono oltre il lecito per la rigida censura del periodo storico, cosa che costa un divieto ai minori per una pellicola in ogni caso adatta a un pubblico adulto e preparato. Una storia milanese è un film coraggioso, per niente convenzionale, una piccola storia d’amore descritta con rapide pennellate, iniziata e finita per volontà di una donna che vuole essere libera e indipendente. Un film risolto, teatrale, intenso, a tratti persino poetico, sceneggiato con cura e senza sbavature, che analizza in maniera approfondita la psicologia dei personaggi. Visconti  mette sul piatto della bilancia i temi futuri della contestazione giovanile e dell’emancipazione femminile, anticipando la lotta femminista che condurrà l’Italia ad accettare la modernità, divorzio e aborto compresi. Da rivedere, consapevoli che per essere apprezzati certi film devono essere storicizzati e lo spettatore deve calarsi nella temperie culturale che li ha prodotti.



Il disco della colonna sonora


Sequenza sul mare che ricorda il cinema di Ingmar Bergman


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venerdì 2 febbraio 2018

L'innocenza di Clara

di Toni D'Angelo

Regia: Toni D'Angelo. Soggetto: Toni D'Angelo. Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Salvatore Sansone, Toni D'Angelo. Fotografia: Rocco Marra. Montaggio: Letizia Caudullo, Silvano Agosti (supervisore). Musiche: Alessandro Rinaldi (edizioni musicali Ala Bianca Group), canzone Per amarti di Bobo Rondelli. Scenografia: Carmine Guarino. Costumi: Olivia Bellini. Trucco: Marisa Marconi, Maria Vittoria Cascioli. Produttore: 13 Dicembre, con il supporto di MiBACT. Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà. Genere: Noir, Drammatico. Durata: 83'. Interpreti: Chiara Conti (Clara), Alberto Gimignani (Maurizio), Luca Lionello (Giovanni), Rosanna Gentili (Luisa), Irene Goloubeva (Angela), Giulio Beranek (Ariel), Bobo Rondelli (Marco).


Toni D'Angelo (1979) è figlio di cotanto padre, quel Nino D'Angelo che negli anni Ottanta - diretto da Ninì Grassia e Mariano Laurenti, ma pure da Romano Scandariato e da se stesso - riempiva le sale di ragazzine innamorate della nuova sceneggiata napoletana in salsa rosa. Il figlio fa tutt'altro mestiere ma dobbiamo dire che è dotato di un certo talento e di un pizzico di genialità, tra l'altro si toglie la soddisfazione di guidare il padre nel suo ultimo film - Falchi (2016) - che non abbiamo ancora avuto modo di vedere.


Alcuni suoi corti sono puro cinema impegnato (Bukowski, Casoria e Poeti), ma anche i lunghi a soggetto non sono disprezzabili e forse L'innocenza di Clara è il più intenso, capace di racchiudere tutta la poetica di un autore profondo e originale. In tempi che vedono inneggiare a registi come Guadagnino - dotati di budget esorbitanti rispetto alle idee - fa piacere vedere un piccolo film teatrale, ben diretto, fotografato con cura, sostenuto da una colonna sonora adeguata e interpretato con partecipazione dagli attori. Niente di eccezionale, si badi bene, una piccola storia di amore e morte, tradimenti, infedeltà coniugale e amicizia perduta, ma raccontata con gusto e passione. Ottima l'ambientazione tra le cave di marmo di Carrara, in uno sperduto paesino di montagna, dove Clara (Conti) è costretta a vivere un matrimonio infelice che la porta di nuovo tra le braccia del primo amante (Rondelli) e persino a illudere Giovanni (Lionello), grande amico del marito (Gimignani).


Il film è un noir che vive sul colpo di scena finale, quindi non è lecito raccontare altro a livello di trama, accenniamo soltanto alla storia collaterale di un amore giovanile contrastato da un padre padrone, che predica bene ma razzola male. Bobo Rondelli canta la sua Per amarti, accompagnandosi con la chitarra, dedicandola alla donna che lo abbandona per sposare un uomo tutto suo, anche se tornerà da lui. "Le gabbie che racchiudono gli esseri umani sono invisibili, per questo le loro sbarre risultano invalicabili...", dice l'epigrafe iniziale firmata Silvano Agosti (supervisore al montaggio), che racchiude tutto il senso del film. Non è possibile cambiare la propria natura, tanto meno fuggire da noi stessi, nonostante i buoni propositi e le costrizioni morali, quel che siamo - in definitiva - è la gabbia dalle sbarre più robuste e insormontabili. Un piccolo film da camera, teatrale, girato in gran parte tra interni claustrofobici, boschi (scene di caccia) e cave di marmo, che vede come temi di fondo l'amore coniugale e l'amor filiale, passando per l'amicizia e lo stretto legame che vincola le persone al paese natio e alle tradizioni. Buona prova d'autore, confermata da un discreto successo di critica e di pubblico al Festival del Cinema di Montreal e al Courmayeur Noir In Festival. Purtroppo sono film che vediamo in pochi...



Per vedere il film:


da Film&Clips

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